LA COLLISIONE
Livorno. 10 Aprile 1991. Sono da poco passate le 22.00 quando il traghetto Moby Prince salpa in direzione di Olbia. A detta di alcuni testimoni non c’è nebbia e la visibilità è ottima. Si scoprirà poi che nella rada del porto c’è uno strano fermento di navi. Il traghetto passeggeri, poco dopo essere uscito dal porto, urta inspiegabilmente la petroliera Agip Abruzzo, all’ancora in un punto ancora oggi non del tutto chiarito, proprio come i motivi della collisione. Si dice che le fiamme fossero già divampate a bordo della petroliera, dopo il distaccamento di un un manicotto, utilizzato per il trasbordo di carburante con una bettolina.
Quello che è certo, è che in pochi secondi si incendia anche il Moby. In seguito al rogo, o meglio per aver respirato fumo per ore, perdono la vita 140 persone tra passeggeri ed equipaggio. Soltanto il mozzo riesce a salvarsi, buttandosi in mare. Sull’Agip Abruzzo tutto l’equipaggio viene invece messo in salvo.
DA DOZZA AL MOBY PRINCE
Tra i passeggeri che perderanno la vita nel Moby ci sono anche Roberto Vinattieri e Graziano Cinapro, residenti a Dozza imolese. Roberto era un imprenditore nel settore della moda e con Graziano, suo collaboratore e amico, si erano imbarcati a Livorno per recarsi a Porto Cervo, dove erano in procinto di aprire la filiale estiva del negozio di pelletteria già in funzione nel centro di Bologna.
Si erano imbarcati assieme ai due inseparabili cagnolini e avevano caricato il loro furgone nella stiva di tutte le pellicce necessarie per la filiale a Porto Cervo. I loro corpi, come quelli di altri passeggeri, vennero rinvenuti all’interno del salone Deluxe, luogo del traghetto ritenuto più al riparo dalle fiamme.
La tragedia del Moby Prince è a tutti gli effetti una delle vicende più oscure della Repubblica italiana. E purtroppo, chi negli anni ha osato indagare, è andato incontro a intimidazioni ed episodi sconcertanti.
VERITÀ NASCOSTE
Inizialmente e per troppi anni, si attribuì nella fitta nebbia e all’errore umano le motivazioni della sciagura. Ma troppe cose non tornano nella vicenda del Moby Prince, considerata a tutti gli effetti come un’ Ustica del Mare, un vero e proprio intrigo internazionale. Quella notte, nella rada del porto di Livorno, vi era la presenza di molte navi militarizzate americane, di ritorno cariche di armi dalla guerra del Golfo, in attesa di essere rifornite di carburante prima di salpare verso l’ex Nugoslavia. La presenza in porto della ‘famosa’ 21 Oktobar II, la nave per la quale persero la vita Ilaria Alpi e Miran Rovatin. Il peschereccio della flotta Shifco, donato dalla cooperazione italiana alla Somalia durante la sanguinaria dittatura di Siad Barre, quella sera si trovava in banchina nel poero di Livorno (venne vista dal pilota di porto). Tornerà al porto di Livorno il giorno dopo. All’epoca era indicata proprio per essere la “nave canaglia” utilizzata per il trasporto di scorie radioattive e il traffico di armi.
C’è anche un’altra particolarità: sembra che il capo della Shifco Omar Mugne (in realtà diventa Presidente della Shifco-Malit proprio qualche mese dopo la tragedia del Moby: 6 settembre) lasci Livorno per recarsi a Reggio Emilia qualche giorno prima della tragedia del Moby mentre il suo braccio destro F. Mancinelli rimane a Livorno. E’ il SISMI a segnalarlo (C’è una testimonianza che certifica gli avvenuti spostamenti).
La vicenda del Moby Prince in sostanza tocca troppi interessi per ottenere una verità.
UN PRIMO E MISTERIOSO URTO
Ma le stranezze sono tante. Partiamo da un’analisi visiva suffragata da alcuni fatti che possono dare più completezza alle ragioni della perdita della rotta del Moby. Analizziamo le fotografie del traghetto e le cause della morte dei barista del Moby Club. Qualche giorno dopo, la motonave ormai carbonizzata viene trasportata verso il porto. I vigili del fuoco continuano a raffreddarla con gli estintori.
Soffermandosi sulla fiancata destra, in corrispondenza del ponte lance, è presente quello che potrebbe essere un indizio cruciale.
I segni di un misterioso urto, che piega parzialmente il ponte e la fiancata del traghetto passeggeri. Qualcuno scatta qualche foto anche in quel punto, dove si fatica a passare da quanto sono piegati i pali che sorreggono il ponte. Ma come ha fatto a piegarsi la fiancata se il Moby è entrato nella pancia dell’Agip di prua? Tra l’altro, in mare, verrà rinvenuta una scialuppa di salvataggio che non faceva parte ne del Prince ne della petroliera.Che tra l’altro, non era bruciata.
LA STRANA MORTE DEL BARISTA DEL MOBY CLUB
E’ l’unico naufrago del traghetto a non essere morto per inalazione da monossido di carbonio. Venne rinvenuto in mare, annegato nel gasolio (gasolio, non greggio) e sul cadavere non presentava segni di bruciatur. Ma non è stato neanche il mare a ucciderlo. A dirlo sono le perizie. Secondo Florio Pacini, l’ex capo ufficio acquisti della Nav.Arma, società armatrice del Moby, il Prince avrebbe perso la sua rotta proprio per via di una prima e meno grave collisione. Un incidente piu leggero, una “strusciata” contro il ponte lance del Moby da parte di una terza nave. La terza nave si sarebbe poi allontanata, forse “Theresa?”. E il barista del Moby Club, uscito per vedere cosa stesse accadendo, sarebbe poi stato sbalzato in mare. Perchè tutto questo non si deve sapere? Sta di fatto che nelle acque attorno al porto di Livorno, quella sera, erano presenti molte altre navi militarizzate americane.
CONTRIBUTI: “l’ex Dirigente, c’era anche una terza nave, da Il fatto quotidiano (di A.A.)
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