Intervista al Dott. Roberto Pieralli, Presidente provinciale SNAMI Bologna.
Dott. Pieralli, che funzione stanno avendo i CAU, secondo lei? Quella di alleggerire il flusso di utenza al PS?
«I CAU hanno intercettato una popolazione in buona parte diversa da quella che Donini avrebbe voluto, questo è il vero tema. L’impressione che abbiamo è che si stiano alleggerendo di più i medici di famiglia che i PS. Alle persone gli dai una sorta di “Fast-Food” delle cure primarie dove trovare prestazioni rapide con qualcuno di turno che non li ha mai visti prima, e questo sta portando i pazienti spesso a essere rimbalzati tra CAU e medico di famiglia o tra CAU e PS. A Imola tuttavia ci risulta questo stia accadendo meno che a Bologna per via della tradizione della “Porta Medicalizzata” precedentemente esistente ove oggi il CAU.»

Quali sono le logiche legate a quelli che lei definisce i “fast-food” della sanità, riferito ai CAU?

«Ormai si va a inseguire la logica della gratificazione rapida, un mordi e fuggi, e quando Donini va dicendo che non ha mai sentito la gente così contenta devo rispondergli però che il servizio sanitario non si misura solo con la “customer satisfaction”. Il SSN si valuta solo in parte col tasso di gradimento, ma quella di ottenere dei risultati clinici appropriati non solo sul qui ed ora, ma sul medio e lungo termine. Poi, per carità, la comunicazione e gentilezza e soddisfazione possono essere misurati, ma la differenza fra un servizio sanitario e un’attività di costumer care in altri ambiti è notevole, qua fa da padrone la cosiddetta “asimmetria informativa”, ovvero il cittadino e i professionisti non hanno la stessa percezione e lo stesso giudizio tra cosa era indispendabile, necessario e/o appropriato. Si puo’ dare un giudizio sulla comodità di un servizio ma difficilmente si puo’ entrare nel merito del contenuto delle prestazioni, della loro appropriatezza etc… per quello serve una conoscenza che il cittadino medio ovviamente non puo’ avere se non ha una laurea sanitaria. Quello che la letteratura ci dice è che quando non conosci il tuo paziente, aumentano esponenzialmente gli esami, le lastre e i test anche solo per medicina difensiva per esempio, questo parametro di appropriatezza, che i nostri medici già ci segnalano, non viene ovviamente misurato.»

Gli accessi al PS possono diminuire, grazie ai CAU?
«Ritengo non così tanto come si spererebbe. Perché il Pronto Soccorso ha una quota limitata di casistiche gestibili in altro modo e in altri setting. I Medici che oggi lavorano al CAU e che prima lavoravano in PS ci dicono infatti che sono due popolazioni diverse quella dei CAU e quella dei PS.»

Quindi ritiene che il CAU non abbia vantaggi?
«Il CAU può avere un suo senso, se inserito dentro i gruppi di medici di famiglia di una certa zona, cosa che ora non è. Paradossalmente la “porta medicalizzata” di Imola lo era prima che divenisse CAU, ora i medici di famiglia che prima gestivano quel servizio, molto simile, sono stati allontanati e sostituiti da medici di guardia medica precari. Noi temiamo che questa logica sia funzionale ad indebolire e disintegrare via via il rapporto fiduciario dei medici di famiglia per passare lentamente a un rapporto che transiti da “Medico-Paziente” verso un rapporto “medico – struttura”, e da qua tutto il tema delle Case della Salute e della Case della Comunità. Un processo pericoloso che potrebbe trasformare per piccoli passi tutto in un piccolo pronto soccorso, un “servizio” dove vado e trovo qualcuno in turno che fa qualcosa in una visione “consumistica” della sanità che non riteniamo di condividere oltre un certo livello di logica e appropriatezza. Anche recenti evidenze già dal 2017 ci indicano che il servizio sanitario, in particolare con una popolazione anziana e con alta prevalenza di cronici, dovrebbe essere centrato su una relazione Medico-Paziente stabile, preservando questa al massimo possibile e quindi evitando fenomeni come quello che stiamo iniziando a notare, ovvero una sorta di concorrenza del CAU rispetto l’accesso dai Medici di Famiglia.»

Ok, non è del tutto cosi nelle medicine di gruppo. Ci sono collegamenti ?
«Certo che ci sono, proprio le medicine di gruppo e rete furono create nella logica che piu’ professionsiti in gruppo, con più’ ore di apertura avrebbero potuto “intercettare gli accessi al PS”, ma oggi e’ di tutta evidenza che questo non è accaduto come si sperava. Un altro tema sono state le case della comunità e della salute: uno studio della RER sosteneva, non abbiamo capito su quali dati, che le Case della Salute avrebbero calato enormemente gli accessi al PS e che era grande evidenza in regione gia’ dal 2010 2016 : https://www.quotidianosanita.it/emilia_romagna/articolo.php?articolo_id=74004
Se questo fosse stato vero, come mai oggi abbiamo dovuto correre a fare i CAU essendo noi la regione che aveva il maggior numero di Case della Salute in italia? Qualcosa non torna…. Gli accessi al PS però sono paradossalmente incrementati da quando si è cominciato a creare le medicine di gruppo. Solo un paziente che ha un proprio medico di reale fiducia e che sia raggiungibile il piu’ possibile va meno in pronto soccorso perché ha un punto di riferimento e fiducia. Quando invece “troppi attori” intervengono in una relazione medico paziente, paradossalmente partendo da un buon intento, alla fine si crea confusione, si ha una sorta di perdita di riferimenti e al PS si va con maggiore facilità. Il CAU oggi rischia di essere il BIS. Alcuni colleghi del sindacato analizzarono gli accessi ai PS dei pazienti dei Medici in gruppo e non in gruppo, e si accorsero molti anni fa di questo fenomeno…. Contrariamente a quanto ci si aspettava, il medico “single” aveva mediamente meno accessi dei colleghi, questo non significa che i gruppi siano qualcosa che non funziona, ma su questo parametro non hanno evidentemente influito, mentre su tanti altri aspetti hanno indubbi benefici.
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Il problema può essere riferito a una rete di medici dunque?
«La rete non fa il problema ma serve creare e mantenere una responsabilizzazione tra medico e paziente. Mettendo un medico nelle condizioni di lavorare decentemente, con equipe adeguate, strumenti di lavoro e contattabilità predefiniti, saldare la relazione medico paziente è quello che riteniamo prioritario, questo non esclude i CAU, ma li vede inseriti in una logica diversa da quella oggi pensata.
Nel nostro territorio e non solo, alcuni medici faticano a gestire la mole di lavoro e gli stessi pazienti faticano a farsi visitare nell’immediato. L’incapacità programmatoria delle Regioni e dello Stato degli ultimi 20 anni hanno causato una carenza di medici, e con questa un sovraccarico di pazienti procapite. Nell’accordo collettivo-nazionale di lavoro i medici di famiglia non hanno mai avuto precise regole e remunerazione per la loro contattabilità durante l’arco della giornata. Fuori dall’ orario di ambulatorio, il medico che oggi risponde al telefono tutto il giorno, non è nemmeno pagato per tutto quel tempo di disponibilità. Una materia che andava discussa e regolata chiaramente nell’accordo del 2022.
Sostanzialmente si è quindi a conoscenza degli importanti mutamenti nei rapporti tra medici e pazienti.
C’è il pericolo di trasferire il rapporto medico-paziente al rapporto medico struttura, sapendo che poi il mercato è psicologia. Alla fine, il paziente vuole la struttura o il professionista? Se tu crei il bisogno, poi qualcuno quel bisogno lo puo’ vendere. Provate a pensare quando volete vedere lo stesso cardiologo o lo stesso specialista perché volete che vi segua sempre lui nel tempo? Oggi di fatto questo è possibile quasi solamente usando la libera professionae o le assicurazioni, che ti permettono di scegliere sempre lo stesso medico specialista.
Questo il motivo per cui non vediamo di buon occhio sistemi che eroghino cure primarie “fast-food” con un medico “di turno”, perché riteniamo, anche in coerenza con quanto la scienza ci dice, che qualunque modello di organizzazione debba ruotare attorno alla relazione di fiducia, e oggi i CAU sono staccati da questo.
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E il ruolo dei medici del CAU?
«Dovrebbero rispondere alla prima urgenza, magari su invio da parte del medico curante di fiducia e comunque con una preventiva valutazione telefonica rispetto al fatto che il CAU sia il posto giusto in cui andare. Siamo stati i primi a proporre degli ambulatori all’interno dalle medicine di gruppo con un collega che desse una mano a tutti e con le sostituzioni e le piccole urgenze quotidiane. Ma ci siamo trovati un modello parallelo e staccato dalle reti dei Nuclei di Cure Primarie e dei Medici di Famiglia. Molto spesso i medici dei CAU e i Medici di Famiglia della zona non sanno nemmeno che faccia hanno gli uni gli altri.»