“L’e colpa mì se a corr piò pie che n’a volta. L’e colpa mi sa a m’indurment davanti a la televisiò A’n pòss piò magnè la nòtte f’e di stravèezi A’n vag piò in ufezì, a s’an in pensiò…” (A. Mingardi – “I Vìc”)
Il centro storico di Imola, in particolare i portici, l’orologio e la Piazza Grande (prima Piazza Vittorio Emanuele, poi Matteotti) era il luogo per eccellenza dove si svolgevano le trattative. Compravendite immobiliari e del bestiame. I contadini venivano appositamente dalle campagna, vestiti di tutto punto, sapendo che avrebbero trovato ciò che cercavano. I portici venivano “sorvegliati” in particolare dagli inconfondibili humarells. I vìc. I “pensiunè”. Davanti al Bar Bologna o seduti ai tavolini di Zanarini, si discuteva di tutto. Dal pallone alla politica. Il vociare si poteva sentire a centinaia di metri di distanza. Specialmente nei giorni di mercato, per i sensali era sinonimo di grandi affari, per gli anziani l’occasione di incontrare vecchi amici. Si discuteva così delle rispettive esistenze e della situazione cittadina attuale. E la sera si andava in osteria.
Dal mitico Pippo della “Culazòna” di Via Fratelli Bandiera all’Osteria Centrale (al suo posto arrivò l’Emporio 51 e ci fu anche un raccolta firme per opporsi alla chiusura) fino a quella De Vultòn di Vicolo Troni. E poi c’erano i “Tre Scalè” di Piazza Codronchi, esistente ancora oggi. In questi ritrovi si potevano incontrare i personaggi più disparati. Macchiette, veri animatori delle serate imolesi. Tra i personaggi che frequentavano – e si scoprì più tardi che avrebbero “raccontato” – vi era anche un distinto quanto silenzioso impiegato di banca. Se ne stava in un angolino, col suo “bianchetto”. Impugnava una matita e “raccontava” così conviviali serate che si svolgevano tra quei tavoli. Si trattava di Celso Anderlini. Capace di dare una caratteristica e molto suggestiva rappresentazione dei “tipi” che le animavano.
Nel bar e nelle osterie si mangiava e soprattutto si beveva. E quando si alzava troppo il gomito le discussioni politiche rischiavano di animarsi troppo. Ancora fino a pochi anni fa, nel bar, per un anziano parlare con un giovane poteva trasformarsi nell’occasione di rievocare antichi quanto dolorosi ricordi della guerra. E inevitabilmente arrivava la commozione.
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