Sono trascorsi 36 anni da quel mattino d’autunno e ancora permangono tante domande e poche risposte. Troppe cose non tornano nella strage della Caserma dei Carabinieri di Bagnara di Romagna.
L’INCHIESTA
Mercoledì 16 novembre 1988. Verso le 8:00 Antonio Mantella e Daniele Fabbri hanno preso servizio davanti alla locale sede del Credito Romagnolo, in piazza della Repubblica. Li vede il Sindaco che non nota niente di strano.
Mantella e Fabbri dovevano rimanere di guardia alla banca fino alle 13:00. Si accerta che alle 12:00 ricevono una chiamata del comandante Chianese che dice loro di rientrare, ordine di cui non si conoscerà mai la motivazione. Mentre ritornano si fermano per fare un po’ di spesa, chiacchierando con la panettiera e col vigile urbano. Parlano di calcio, Mantella commenta ironicamente la difficile situazione del Bologna e del Cesena a rischio retrocessione.
Si dimostrano così sereni e tranquilli, anche se hanno ben presente la prossima riunione. Due operai dell’Azienda Rifiuti di Imola si rivolgono a loro per denunciare un piccolo furto: qualcuno ha forzato il loro furgone per rubare due tute da lavoro. Siamo negli anni di piombo e si pensa al terrorismo. I due militari consigliano ai due di rivolgersi per la denuncia alla stazione di Mordano, poco distante, dicendo «Noi abbiamo da fare, ci ha chiamati il comandante».
TUTTI IN CASERMA
Ma verso le 12.20 tutti e cinque i Carabinieri in servizio nel paese si trovano all’interno della Caserma. L’edificio è una palazzina di due piani in pietravista, ubicato in Viale Garibaldi, una strada molto trafficata che collega Imola e Lugo. All’interno dell’ufficio del Brigadiere Luigi Chianese, pochi istanti prima della mattanza, si trova forse Angelo Quaglia, che doveva preparare il pranzo. Invece è sceso, forse di fretta, portandosi con se uno straccio da cucina. Assieme a loro c’è anche Paolo Camesasca, il piantone. Forse, il carabiniere scelto Antonio Mantella sta rientrando in quel momento assieme a Fabbri, che era con lui nel pattugliamento. Mantella sente o vede qualcosa ed inizia a sparare prima di entrare nell’ufficio del Brigadiere Chianese: verranno infatti ritrovati diversi bossoli lungo il corridoio. Poi, sempre il Mantella, discende nell’ufficio e conclude una prima sventagliata per un totale di 32 colpi. Di questi 32 proiettili quasi tutti vanno a segno. Le scalfitture sulle pareti sarebbero solo dei proiettili di rimbalzo. I quattro carabinieri sono stati tutti uccisi. La strage si è appena compiuta.
Una stranezza: Mantella infierisce sui corpi, estraendo la Beretta calibro 9 dalla sua fondina e accanendosi con dei colpi ravvicinati ai suoi commilitoni. Poi, sempre secondo le ricostruzioni pubblicate, Mantella, che ancora non pensa minimamente a togliersi la vita, impugna altre due mitragliette. Queste due armi si trovavano nell’armeria, che però era chiusa a chiave. Dunque, il Carabiniere scelto deve aver frugato nelle tasche del collega Camesasca, che aveva le chiavi. Seconda stranezza: intravede qualcuno in strada e inizia a sparare all’esterno. Uno dei colpi finisce sull’auto del postino, che è parcheggiata all’esterno. SI contano così 12 colpi contro i vetri, all’altezza di un 1 metro e 60 cm dal pavimento.
Ma in quella direzione non c’è nessuna delle sue vittime. Secondo la balistica, il militare per centrare la 126 del portalettere, sarebbe dovuto salire sul tavolo o sulla sedia. In quel momento, la moglie del Brigadiere Chianese scappa urlando. La vedova del Comandante di Caserma viveva col marito in uno degli appartamenti dell’edificio. Era forse a lei che Mantella voleva sparare? La signora Lucia riesce a rifugiarsi da un vicino di casa. Poco dopo arriva il medico. La donna sostiene di essere stata colpita da qualcosa di rovente. Il medico conferma. La vedova Chianese era stata probabilmente raggiunta da un colpo di striscio.
Nell’ufficio di Chianese i postumi di una mattanza inspiegabile. L’agente Quaglia è steso bocconi con 28 colpi alla schiena che lo hanno praticamente segato in due, in aggiunta anche un colpo alla nuca. Chianese ha sei proiettili nel braccio e due in bocca, proprio come in un’esecuzione mafiosa. Camesasca, capelli biondi, nel volto è una maschera di sangue. Antonio Mantella, alla fine, si toglie la vita. Si disse e si crede che l’uomo si sparò pochi istanti dopo il “raptus”: invece, a detta di alcuni testimoni, sarebbero trascorsi ben 7-8 minuti dal colpo finale che seguì le raffiche.
CONTINUA A SEGUIRCI SU TELEGRAM