Imola. Il destino del Macello non trova pace, come una maledizione iniziata con l’incendio del teatro Cavalieri Associati il 6 febbraio 1797, poco dopo la sua inaugurazione.Proprio pochi giorni fa, il crollo di un solaio interno ha destato non poca preoccupazione nei cittadini, circa il futuro dello storico edificio, ora proprietà privata.
LA BREVE E SCIAGURATA VITA DEL TEATRO “CAVALIERI ASSOCIATI”
Una società di sedici imolesi a cui apparteneva anche Cosimo Morelli, decise di costruire un teatro, ottenendo nel 1774 dalla Comunità una parte dell’ex foro boario, addossato alle mura della città. Morelli si occupò del progetto e della costruzione, che ebbe inizio nel 1775. Il teatro presentava un innovativo palcoscenico a tre bocche con tre distinte scene e una sala dalla curva ellittica, con tre ordini di 17 palchi ciascuno: venne inaugurato nel 1782, rimanendo attivo fino al febbraio 1797 quando, nella notte dell’ingresso in città delle truppe francesi, venne drammaticamente distrutto da un incendio.
Non si accertò mai del tutto come vennero innescate le fiamme: iniziarono a circolare voci circa una natura dolosa del rogo.
E vennero addirittura incolpati gli attori di una compagnia teatrale che si era esibita proprio quella sera, teatranti che avrebbero appiccato il fuoco per vendetta nei riguardi degli imolesi che boicottavano la sala per via dell’occupazione francese in città – si è detto – o più probabilmente, attori che erano rimasti insoddisfatti del salario ricevuto. Ma i poveri teatranti, dopo gli interrogatori delle forze dell’ordine, vennero prosciolti senza prove o testimoni che potessero accertare qualche responsabilità. Intanto, tra la popolazione ci fu una levata di scudi per far sì che l’edificio venisse ricostruito in tempi brevi: nonostante questo, il teatro non vedrà mai più la luce e dopo solo 15 anni dalla sua inaugurazione, siamo nel 1897, il suo destino è già in bilico. Sotto all’edificio sono ancora presenti le antiche rovine del teatro.
1864 – 1978 UN SECOLO DI “MACELLO E PELATOIO PUBBLICO”
Utilizzando lo scheletro superstite dell’antico teatro, venne costruito un nuovo edificio, la cui facciata è quella che vediamo ancora oggi; in attesa di una nuova destinazione d’uso, la struttura venne adibita a scuderia; una sorta di parcheggio per cavalli. Nel 1864, il Comune di Imola acquisì la proprietà dell’edificio, adattandolo al nuovo uso, sotto progetto dell’architetto Ercole Felice, come “macello e pelatoio pubblico”. Nacque così il macello imolese che tutti noi conosciamo. E la sua storia si trascinò fino al 1978, ultimo anno della sua apertura al pubblico. Gli anni della fame erano finiti, il boom economico era arrivato e in città arrivano i primi centri commerciali. Con l’avvento degli anni ’80 l’utilizzo del macello non aveva forse più motivo di esistere ma almeno un’individuazione immediata di un nuovo utilizzo poteva e doveva essere fatta.
foto e contributi SI RINGRAZIA : IMOLA ANNI 60 70
La storia del nostro macello suscita ancora oggi a molti imolesi, allora piccoli, tanta nostalgia e malinconia.
Una vicenda che ha visto l’edificio di Via Selice svolgere un ruolo da protagonista nella scena cittadina del dopoguerra: durante la ricostruzione, si formavano lunghe file davanti all’ingresso della “bassa macelleria”, dove venivano vendute le frattaglie d’animale, a prezzi ovviamente più accessibili di quelli tradizionali.
Ma la ‘bassa macelleria’ non era sempre aperta e soltanto quando una bestia moriva per cause accidentali poteva essere messa in vendita dopo tutte le visite veterinarie del caso; sui banchi tradizionali quella carne non poteva avere ovviamente mercato. In poco tempo si spargeva la voce e gli imolesi si radunavano davanti all’ingresso ancora prima che la bottega aprisse. La carne era buona e sana, senz’altro meglio di quella di oggi, col vantaggio che costava meno della metà del normale.
L’ultimo anno in cui l’edificio rimase in funzione fu il 1978: da lì in poi il macello andò incontro ad un rapido e inesorabile declino che lo vede ad oggi, abbandonato da ben 42 anni.
Nel 2011 il Comune è riuscito ad alienarlo all’azienda Vinicola Poletti, che ora è il maggiore interprete del suo recupero (e di tutta l’area) con tutte le difficoltà burocratiche del caso.
Verso i primi anni del duemila, nello stabile trovarono rifugio persone senza fissa dimora.
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