E’ dall’alluvione del maggio 2023 che si parla di ridare più spazio all’acqua. Un appello ripetuto dai geologi anche dopo la nuova alluvione del 19 settembre: si parla di una decina di anni per rimettere in sicurezza la Romagna con opere per il contrasto delle piene. Ma se tutto ciò verrà rallentato dalla burocrazia e ricorsi, allora sarà un percorso a ostacoli col rischio di svalutazione degli immobili e il fantasma dello spopolamento dei piccoli centri abitati. Anche perchè queste persone non possono continuare a vivere con la valigia in mano e c’è già chi cerca casa altrove dopo l’ennesima alluvione del 19 settembre scorso.
Pensiamo soltanto ai problemi di Marzeno e Lamone, quest’ultimo corso d’acqua che si restringe notevolmente quando costeggia gli abitati di Traversara, Villanova e Glorie, e se giunge in questo punto con una portata d’acqua superiore alla sua attuale capacità arginale cosa può significare senza interventi.
Oppure al Santerno e le sue famose casse di espansione di San Prospero, i cui studi vanno avanti dalla seconda metà degli anni novanta. A Imola sarà cruciale l’ausilio di casse di espansione in Vallata del Santerno a salvaguardia della città come quelle annunciate nel documento della protezione civile nei pressi di Ponticelli. Oppure pensiamo alla famosa cassa di espansione del Senio a Tebano, ancora mai realizzata nonostante i fondi. Opera di assoluta priorità per la salvaguardia dei centri abitati, ma gli ostacoli per renderle operative sembrano a volte insormontabili: in Romagna sono fondamentali ma in questi ultimi nove anni non sono state portate a termine. Ora per la Regione sono necessari anche i fondi di Roma. Oltre che un “piano Marshall” per i cantieri che, la Regione da sola forse non può reggere poichè già in affanno. E quindi l’aiuto di Roma è fondamentale, sebbene tutte quelle risorse, non chiaro come impiegate da parte di viale Aldo Moro per realizzare casse di espansione tra il 2015 e il 2023 gridano vendetta.
I bacini di laminazione sono opere da realizzarsi in media in 7 anni e si procede per stralci funzionali. Ma da sole non bastano, anche perché la morfologia romagnola non rende possibili invasi di grande portata. Servono modifiche della sagoma degli alvei e arretramenti verso campagna dell’attuale posizione dei rilevati arginali. Ma anche procedure semplificate, proprio per il grande scoglio della burocrazia. Serve certamente alzare i ponti, che – come ha ammesso viale Aldo Moro – costituiscono ormai un ostacolo conosciuto al regolare scorrimento delle acque. Si parla indicativamente di 650 milioni necessari per le prime opere fondamentali per i fiumi.
Terreni per le tracimazioni controllate: se non si accelerano le procedure per l’individuazione dei terreni e i conseguenti ristori per i proprietari degli stessi il fiume non può trovare velocemente spazio prezioso per depotenziare la piena.
La cura della montagna: la salvaguardia dell’appennino equivale di conseguenza a salvare anche la pianura. Certe aree di montagna sono trascurate da troppi anni, e parliamo di un territorio più fragile poiché sempre meno popolato. Opere di contenimento di acqua come le briglie, filtranti e di trattenuta. Ma anche la raccolta di ramaglie e legname secco depositato sull’alveo è un’operazione cruciale, come ribadito dai geologi.