Disponeva di fondamenta in muratura che sorreggevano le strutture lignee. Di forma ellittica, era cinto da uno spesso muro periferico. Gli ingressi all’anfiteatro erano 20. Le fondamenta erano costituite di ciottoli del fiume Santerno collegati con malta di calce

Dell’anfiteatro Vittorio Sgarbi scrisse: uno dei più gravi scempi archeologici italiani, ebbe luogo a Imola nel secondo dopoguerra, quando si procedette alla lottizzazione di una vasta area occupata da un anfiteatro romano”

A pochi metri dall’uscita dell’allora città di Forum Cornelii, sulla via Aemilia, sulla destra ,per chi andava verso Bononia, si trovava un ampio anfiteatro. Il paesaggio doveva essere assai simile a quello odierno. A sud le colline digradanti verso la città, a nord la pianura, divisa dalle strade del centuriato in una regolarissima scacchiera di poderi e accuratamente coltivata. La sola differenza doveva consistere in una più fitta vegetazione arborea e forse in qualche folta macchia di alberi, specialmente sulla collina. Sempre in collina dovevano scorgersi alcune ville-fattorie. Il Santerno scorreva dove scorre ora: lo dimostra l’esistenza del ponte romano detto delle lastre. Un altro ponte doveva trovarsi lungo la via Emilia, molto probabilmente dove si trova quello odierno. Sul Castellaccio esisteva una borgata, residenza di un nucleo superstite della popolazione pre-romana del luogo.

Tra le tante bellezze di Imola una di queste era proprio questa arena romana, oggi sepolta sotto al cemento, vittima di una lottizzazione risalente a un periodo di grande espansione per la nostra città. E’ trascorso molto tempo da quelle scelte e ad oggi, il tema divide ancora gli imolesi. Risalente al I secolo d.C., il manufatto misurava ben 108 per 80 metri. Dal 1953, venne ignorato dal piano regolatore della città, come se non fosse mai esistito, nonostante un vincolo del 1925, nonostante la documentazione di alcuni scavi.

GLI SCAVI

La storia archeologica dell’importante monumento è tutt’altro che articolata: spiccano le rilevazioni del 1870 dopo dei lavori di sterro ove venne alla luce una sezione del muro perimetrale. L’allora sindaco diede il via libera a una campagna di scavi che portarono alla scoperta i due terzi del muro ellittico e molti muri di collegamento con l’esterno dell’arena. Ma lo Stato negò i fondi richiesti per il mantenimento del monumento; dopo l’agosto 1870, i ruderi vennero reinterrati e l’area ritornò ad essere un campo coltivato.


SECONDO SCAVO E TENTATIVO DI RECUPERO

Nel giugno del 1925 l’allora sopraintendente Salvatore Aurigemma pose il vincolo sull’area e quattro anni più tardi si riuscì nuovamente ad esplorarla tramite una breve campagna di scavi dalla durata di meno di un mese. Furono gli ultimi scavi che interessarono il sito. I ruderi dell’anfiteatro erano ancora in buono stato: dimostrarono che il complesso romano ospitava i posti a gradoni, la cavea, il piano dell’arena. Vantava imponenti dimensioni con una parte fissa in muratura rivestita di marmi pregiati cui probabilmente si univa in determinate occasioni una parte smontabile in legno. Secondo gli esperti, poteva contenere tra i diecimila e i quindicimila spettatori. Visti questi importanti risultati raccolti, venne richiesto un piano di recupero: la proprietà del terreno tuttavia si oppose, dal momento che richiedeva la lottizzazione dell’area, dunque bloccando sul nascere ogni volontà. Nel 1939 venne tuttavia venne confermato il vincolo.

LOTTIZZAZIONE

Dal 1953 l’anfiteatro viene semplicemente ignorato dal piano regolatore della città. Si giunge alla pietra tombale del voto unanime del consiglio comunale del 1957 e il via libera al progetto di lottizzazione semi-intensiva che soffocò quella che sarebbe potuta diventare una interessante area archeologica circondata dal verde. La grande beffa- leggendo le cronache – fu che proprio gli stessi che durante il fascismo difendevano il monumento poi furono , in modalità diverse, interessati in qualche maniera nell’opera successiva di lottizzazione. Fu proprio il piano regolatore del ’54 a fare da assist ai costruttori e la Sopraintendenza non si oppose: nel 1969 si iniziò già a parlare di recupero del sito, con il piano regolatore che prevedeva un recupero graduale dell’area, che negli anni prevedesse un progressivo spostamento delle abitazioni costruite sopra l’anfiteatro. Ma le case erano ancora troppo recenti e gli strumenti urbanistici di allora non in grado di supportare una scelta forse non applicabile.

LA STORIA

L’importante arena era utilizzata per grande varietà di spettacoli, tra cui anche quelli gladatorii. Cosa avrebbe significato lasciarlo in vita? Sicuramente un attrazione turistica come riferimento archeologico da valorizzare ma anche un ripristino diretto al riutilizzo come teatro all’aperto. Ciò che prese il posto del vecchio anfiteatro, fu un complesso di case architettonicamente mediocri, sebbene le recenti ristrutturazioni abbiano decisamente migliorato anche l’effetto visivo del condominio ma tuttavia abbiano allontanato l’ipotesi di un recupero del sito romano.
L’Amministrazione, alcuni anni fa, chiese al Ministero e alla Soprintendenza il rinnovo del vincolo su tutta l’area archeologica del monumento romano, ottenendo dalla soprintendente Cristina Ambrosini l’ assicurazione che è ancora in vigore il vincolo posto nel 1913,  RD 30 gennaio 1913 n. 363.