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VILLA MARIA, MEDICO COLLEGATO DA IMOLA CON L’ASTRONAUTA VILLADEI

Si è tenuto nei giorni scorsi un colloquio tra i medici di GVM Assistance e il Colonnello dell’Aeronautica Militare Walter Villadei sugli effetti positivi della telemedicina
Imola (BO), 27 gennaio 2024 – Un operatore medico si è collegato dall’Italia in diretta verso lo spazio: si è trattato di una fase cruciale del coinvolgimento di GVM Assistance, azienda di GVM Care & Research che si occupa di sviluppare e fornire servizi innovativi di sanità digitale, nell’ambito della missione di Axiom Ax-3, grazie alla collaborazione con l’Aeronautica Militare.
Dalla sede di Imola, il dott. Giampaolo Stopazzolo, Medical Director di GVM Assistance, si è collegato con la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) per un colloquio con il Col.Walter Villadei, ufficiale dell’Aeronautica Militare e membro dell’equipaggio della missione, in merito agli effetti positivi che la telemedicina potrebbe apportare all’esperienza in orbita degli astronauti.


Dopo i saluti di Stefano Bonaccini, Presidente della Regione Emilia-Romagna: “Siamo orgogliosi che lei possa partecipare a questa missione spaziale e le garantisco che investiamo e investiremo sulla filiera dell’aerospazio e sulla Space Economy per i prossimi anni”, il Col. Villadei ha esordito così dalla Stazione Spaziale Internazionale“È un onore rappresentare l’Italia. Molto abbiamo fatto anche con la Regione Emilia Romagna e sono veramente contento di portare qui innovazione, scienza e tecnologia proveniente da questa Regione”.
Ettore Sansavini, Presidente di GVM Care & Research ha proseguito con i saluti:“Abbiamo sempre creduto nella telemedicina e nel futuro della sanità, che sarà sempre più digitale e senza confini. E lo spazio è una nuova frontiera da esplorare con i nostri sistemi e tecnologia. Siamo orgogliosi che lei ci aiuti in questa sfida e la abbraccio calorosamente”.

Il collegamento è poi proseguito con un dialogo tra il dott. Stopazzolo e il Col. Walter Villadei sulle condizioni del corpo umano in condizioni di microgravità. “In queste condizioni non si percepisce il peso, vengono meno i segnali vestibolari della gravità e i gradienti di pressione idrostatica vengono annullati; inoltre i liquidi addominali vengono concentrati nella parte toracica e nella testa, la diuresi aumenta e il volume totale dei fluidi nel corpo, sangue incluso, diminuisce con il trascorrere del tempo” ha spiegato il dottore.
In questo contesto, l’impiego della telemedicina potrà in futuro ricoprire un ruolo importante nel monitoraggio dei bioparametri degli astronauti, per comprendere al meglio come il corpo si adatta alle diverse condizioni gravitazionali e quali accorgimenti adottare nel caso di condizioni fisiche particolari, come ad esempio qualora si manifestasse la cosiddetta “Sindrome da adattamento allo spazio” (Space Adaptation Syndrome) o, al rientro, la “Sindrome da sbarco” (Disembarkation Syndrome), rispetto alle quali tutti gli astronauti fanno attività preparatorie specifiche.
Giuseppe Speziale, Vice Presidente di GVM Care & Research“Seguire lo stato di salute di una persona a grandi distanze (così anche nello spazio) sarà dunque possibile. L’app GVM Assistance racchiude la tecnologia che ci permetterà in futuro di essere ancor più vicini ai pazienti, seguiti da uno staff medico in ogni momento della vita, a casa o in viaggio, anche in posti remoti”.

Andrea Masina, AD di GVM Assistance“La missione spaziale rappresenta un test di ultima frontiera. I risultati ci daranno un riscontro in termini di sostenibilità del sistema e di validità dei servizi che stiamo sviluppando ed erogando. Nell’ambito della Space Economy, questa è un’opportunità per accreditarsi come partner per quei servizi che un domani saranno indispensabili al supporto dello sviluppo dell’economia di questo settore. L’obiettivo è quello di partecipare alla sanità del futuro che non riguarda solo la Terra ma anche lo spazio”.

Il fine ultimo del progetto di GVM Assistance, in relazione alla missione Ax-3, è infatti quello da un lato di migliorare le future esperienze nello spazio, e prepararsi alla sfida futura di missioni spaziali sempre più lunghe salvaguardando la salute degli astronauti, dall’altro di trovare applicazioni anche per il trattamento di pazienti sulla Terra.

“Sindrome da adattamento allo spazio” (Space Adaptation Syndrome)
I sintomi associate alla “Sindrome da adattamento allo spazio” includono nausea, vertigini, possono presentarsi anche vomito, diarrea, mancanza di appetito, mal di testa, malessere diffuso che in forma più lieve viene definito “nebbia spaziale”, sonnolenza e disorientamento. Questi solitamente possono comparire poche ore dopo essere entrati in orbita e durare per un periodo compreso tra 12 e 72 ore, con una media compresa tra le 30 e le 48 ore.
Il loro manifestarsi è strettamente legato all’individuo, ogni astronauta reagisce diversamente (un po’ come succede con il mal di mare).
Vengono generalmente indicate due cause principali del “mal di spazio”: la prima, è dovuta ai segnali contrastanti ricevuti dal cervello dagli organi di senso rispetto all’apparato vestibolare che regola l’equilibrio; la seconda vede l’origine del fenomeno unicamente nell’errata percezione dell’apparato vestibolare (e nei movimenti che compie la testa). Il sistema vestibolare si trova infatti nell’orecchio interno ed è un raffinato e complesso sistema di regolazione dell’equilibrio. Da qui vengono trasmessi al cervello i segnali sulla nostra posizione nello spazio in base ai movimenti compiuti. Segnali che vengono regolati anche da ciò che vediamo. In assenza di gravità l’apparato vestibolare è dunque sfalsato e vi è un’asincronia tra stimoli vestibolari residui e stimoli visivi che può generare la “Sindrome da adattamento allo spazio”.
Dalle esperienze precedenti, si è visto che occorrono in media 2-3 giorni per adattarsi.

“Sindrome da rientro” (Disembarkation Syndrome)
Nei primi giorni dopo il rientro da una missione spaziale il mantenimento della posizione eretta è ostacolato dal fenomeno denominato “ipotensione ortostatica” o “intolleranza ortostatica”, tipico anche degli anziani sedentari e di alcune disabilità. Stando improvvisamente in piedi a terra, il sangue si sposta in quantità significative verso gli arti inferiori. Di conseguenza, la quantità di sangue spinta al cervello si riduce improvvisamente dopo alcuni minuti di permanenza, segue un senso di svenimento che costringe a riprendere la posizione orizzontale. Questo fenomeno si riduce gradualmente fino a scomparire nell’astronauta una decina di giorni dopo il ritorno sulla terra
Per ridurre questo fenomeno, secondo uno studio pubblicato sull’American Heart Association Journal Circulation, è bene seguire durante la missione un programma di allenamento fisico di almeno due ore al giorno. Agli astronauti deve inoltre essere somministrata della soluzione salina subito dopo l’atterraggio. Lo studio ha inoltre rilevato che la pressione sanguigna degli astronauti mostrava minimi cambiamenti nell’arco di 24 ore prima, durante e dopo il volo, il che potrebbe spiegare l’assenza di svenimenti al ritorno. Secondo i ricercatori, questa è la prima dimostrazione empirica di un legame tra esercizio fisico e pressione sanguigna durante l’esposizione prolungata alla microgravità, una prova dell’importanza della prevenzione.

Come la telemedicina può aiutare a contrastare gli effetti di queste sindromi e della gravità zero?
“La telemedicina può aiutarci a comprendere al meglio la fisiologia durante le missioni spaziali – ha raccontato il dott. Stopazzolo –. Creare un contatto tra gli astronauti in orbita e un team medico può aiutare i primi ad identificare al meglio eventuali sintomi, intercettarli prontamente per prendere provvedimenti, sia in termini comportamentali che terapeutici, più indicati secondo il consulto medico effettuato in diretta. Alcuni bioparametri potranno essere monitorati costantemente, penso ad esempio alla traccia elettrocardiografica del battito cardiaco che permette di verificare in tempo reale eventuali variazioni della frequenza correlate alle diverse condizioni e attività, o anche alla pressione sanguigna, alla temperatura corporea, e molto altro ancora. Poter inoltre confrontare i bioparametri pre-partenza con quelli rilevati al rientro consentirà di calibrare i programmi di formazione e preparazione per le prossime missioni”.

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