CI SCRIVE MARIA DE ROSA, CAMPIONESSA ITALIANA DI CANOTTAGGIO PARAOLIMPICO E INVALIDA DALLA NASCITA, LOTTA DA ANNI AFFINCHE’ LE VENGANO RICONOSCIUTI I SUOI DIRITTI: “UN MEDICO HA CERTIFICATO PER ERRORE CHE MI MANCA UN SOLO ARTO, COSI NON MI DANNO IL VITALIZIO SPECIFICO”
LA STORIA: LA COMMISSIONE MEDICA MILITARE (INCARICATA DAL MINISTERO DELLA SALUTE) LE HA SI RICONOSCIUTO I DANNI DOVUTI AL TALIDOMIDE, FARMACO CHE NEGLI ANNI ’60 CAUSO’ MALFORMAZIONI AI BAMBINI, CHE ALL’EPOCA VENIVA SOMMINISTRATO ALLE DONNE IN GRAVIDANZA: IL SECONDO VERBALE PERO’ HA NEGATO ALLA DONNA IL VITALIZIO, PER “MALFORMAZIONE NON COMPATIBILE PERCHE’ MONOLATERALE”: PECCATO CHE A MARIA MANCHINO DUE ARTI, NON UNO.
Salve, il mio nome è Maria De Rosa, ho 50 anni e vi scrivo da Molinella, in provincia di Bologna.
Il motivo per cui vi scrivo è che sto subendo una situazione che vivo come una ingiustizia ed un accanimento da parte dello Stato nei confronti di una cittadina con grave disabilità.
Nasco ad Avellino il 9 dicembre 1972 con una focomelia bilaterale agli arti inferiori, cioè sono nata senza entrambe le gambe e con abbozzi di piedini attaccati alle cosce.
Ho 2 fratelli più grandi perfettamente sani, ho 4 nipoti e 2 pronipoti nati senza alcuna menomazione fisica.
Quando mia madre era incinta dei miei fratelli, dato che lavorava in campagna non aveva necessità di contrastare le nausee gravidiche.
Durante la mia gestazione, invece, lavorava come colf e dal nostro paesello doveva spostarsi con I mezzi pubblici, restando fuori casa per l’intera giornata.
Per tale motivo, il medico di famiglia le prescrisse un farmaco contenente talidomide, che serviva appunto per le nausee ed era considerato assolutamente sicuro per le donne in gravidanza.
Nel 2007, finalmente lo Stato decide di riconoscere un indennizzo alle persone che avevano subito un danno a causa del farmaco, ma circoscrivendo lo stesso unicamente a coloro che fossero nati tra il 1959 ed il 1965.
Ciò sulla base del fatto che vi era stato un ordine di ritiro del farmaco nel settembre del 1962, per cui dopo il 1965 non potevano più essere nate persone con danni da talidomide.
Ma così non è stato e, dopo un lungo iter normativo, è stato ampliato l’arco temporale di nascita, estendendolo dal 1958 al 1966, e prevedendo altresi che potessero essere indennizzati anche coloro che, pur essendo nati al di fuori di tale arco temporale, presentassero malformazioni compatibili con i danni da talidomide.
Nel 2018 ho presentato domanda per essere sottoposta a visita medico legale per il riconoscimento dell’indennizzo ed il 10 dicembre 2019 sono stata sottoposta a tale visita, accompagnata dal mio medico legale di fiducia, presso la Commissione medica ospedaliera (CMO) del Dipartimento militare di medicina legale di Padova.
In precedenza, avevo effettuato il controllo del cariotipo, ovvero del corredo cromosomico, che è risultato assolutamente normale, escludendo quindi una causa genetica.
In data 11 marzo 2020, è stato redatto il verbale relativo alla suddetta visita: viene posta una diagnosi di peromelia bilaterale agli arti inferiori con interessamento del cingolo pelvico e viene riconosciuto il nesso causale tra l’assunzione di talidomide da parte di mia madre e la mia malformazione.
Su input del Ministero della salute, la medesima CMO, in diversa composizione essendo cambiata la persona del Presidente, emette un nuovo verbale che annulla e sostituisce il precedente.
In tale secondo verbale, datato 3 settembre 2020, è nuovamente la diagnosi di peromelia bilaterale.
Il testo cambiato contiene al suo interno la considerazione secondo cui la mia malformazione non può essere considerata embriopatia talidomidica in quanto monolaterale, ossia riguardante la sola gamba sinistra.
Io non ho una laurea in medicina, ma credo che distinguere se manchi una gamba o se manchino due gambe non sia così complesso.
Inoltre, il nuovo Presidente della CMO ha espresso una valutazione senza avermi mai vista.
Si contesta che sia nata nei 1972, ovvero a 10 anni dal supposto ritiro del farmaco.
In realtà, la questione dell’anno di nascita è risolta sia da parte della stessa normativa, come detto sopra, sia da sentenze passate in giudicato con cui è stato riconosciuto l’indennizzo a persone nate nel 1969, quindi a grande distanza dal supposto ritiro del farmaco.
Mi si contesta altresi la mancanza di documentazione attestante la prescrizione del farmaco: parliamo di 50 anni fa.
Contro il provvedimento di diniego, assistita come sempre dagli avvocati Ermanno Zancla e Federica Licata dello Studio Legale Zancla di Palermo, ho tempestivamente proposto un ricorso gerarchico, ma lo stesso è stato dichiarato inammissibile.
Allora siamo stati costretti ad adire la magistratura, mediante ricorso giudiziario presso il Tribunale di Bologna in funzione di Tribunale del lavoro.
La giudice ci ha concesso la Consulenza tecnica d’ufficio (CTU), che è stata favorevole alla sottoscritta in quanto afferma che il nesso di causalità sia assolutamente soddisfatto.
Con sentenza del 15 dicembre 2022, il Tribunale ha riconosciuto il mio diritto all’indennizzo ed ha condannato il Ministero della salute al pagamento delle somme dovute.
Speravo con tutto il cuore che fosse finita, indipendentemente dal tempo per il pagamento delle somme.
Invece il calvario continua: il Ministero della salute, per il tramite dell’avvocatura di Stato, ha proposto ricorso in appello.
Adesso sono veramente stanca e disperata: ho tanti problemi dovuti al fatto che una vita con due protesi ha per forza di cose comportato un utilizzo intenso di braccia e schiena, con una usura precoce degli stessi a causa dei continui sforzi che devo affrontare per sopperire alla mancanza delle gambe.
Senza contare che ho a carico una madre di 81 anni pluripatologica.
Non vorrei tediarvi, ma potete immaginare quanti ostacoli devo affrontare e con quali difficoltà mi devo scontrare ogni giorno.
Non temo il giudizio di per sé, ho piena fiducia nella magistratura, ma trovo ingiusto ed assurdo, oltre che indegno di un Paese civile, questo accanimento.
Sarebbe un atto di alto valore morale, umano e politico interrompere questo accanimento e rinunciare ad appellare quelle sentenze riguardanti persone chiaramente danneggiate dal talidomide; nel mio caso è ancora più grave insistere nel diniego di un diritto sulla base di un verbale palesemente fallace nella sua motivazione.
Chiedo il vostro aiuto per rendere pubblica questa mia assurda situazione e fare in modo che giunga a chi ha la possibilità di rinunciare a questo accanimento e porre fine al mio calvario.