La propaganda sui diritti civili e la libertà di scegliere della propria vita è faziosa e violenta
Da qualche tempo appaiono sugli spazi tabellari in affissione in molte città, Imola compresa, manifesti a firma dell’Associazione Pro Vita & Famiglia. I contenuti riguardano l’aborto e la cultura di genere. Il modo con cui questi temi sono esposti ci ha profondamente indignato. Inoltre in molti Comuni interessati si è chiesta la rimozione dei manifesti in base alle norme vigenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale (art.1 co.4-bis L. n. 156 del 9/11/2021).
La Commissione Pari Opportunità condivide le posizioni espressa da diverse realtà femminili romagnole, centri antiviolenza e da alcune componenti del consiglio comunale imolese. Le ragioni risiedono nel messaggio violento della comunicazione confezionato in modo subdolo.
La campagna “Basta confondere l’identità sessuale dei bambini” (questo lo slogan) rappresenta un bambino che sta per piangere mentre due mani, una con le unghie arcobaleno che tiene un rossetto e l’altra con un nastro rosa incombono su di lui. Lo slogan è accompagnato da un ashtag che precede “stop gender”. In sostanza si denuncia una presunta pratica nelle scuole tesa a imporre ai bambini un genere che non appartiene loro.
Riteniamo la campagna violenta, discriminante e mistificatoria. Violenta perché ricorre all’immagine di un bambino sofferente chiaramente finalizzata alla manipolazione emotiva dell’opinione pubblica. Discriminante perché trasmette un messaggio accusatorio e discriminatorio nei confronti di soggettività presenti nella comunità sociale considerate arbitrariamente dagli autori della campagna “anomali e deviate”. Si presume infatti che qualcuno, segnatamente chi si schiera per i diritti delle comunità lgbtq+ e contro l’omofobia imponga una ideologia gender ai bambini, snaturandoli nella loro identità sessuale e di genere. Mistificatoria perché trasmette una rappresentazione falsa della realtà facendo leva sull’ignoranza e la paura. L’ideologia gender non esiste. E’ essa stessa una mistificazione stereotipata di cui l’Associazione Pro Vita & Famiglia fa uso ricorrente senza alcuna base scientifica. Si presenta infatti il tema del genere come una imposizione diffusa senza che si citino fatti concreti a supporto. E’ inoltre sessista perché nega e delegittima il genere femminile riconducendolo al maschile, il vero oggetto della minaccia indicata nei simboli inseriti nella campagna (il nastro rosa, il rossetto, le unghie smaltate arcobaleno).
I manifesti includono un QR code che rimanda al sito internet dell’Associazione Pro Vita & Famiglia dove si trova una petizione che chiede al prossimo Governo “l’impegno a nominare un nuovo Ministro dell’Istruzione che sia apertamente schierato a favore della libertà educativa della famiglia e che abbia il coraggio di bloccare qualsiasi incursione ideologica e politica all’interno delle scuole dei nostri figli, specialmente quelle fondate sull’ideologia gender”. Più avanti si legge: “ogni giorno in centinaia di scuole italiane si svolgono lezioni, attività, corsi su “affettività e sessualità” profondamente intrisi di ideologia gender”. Affermazioni false, inquietanti e ambigue che delegittimano il ruolo educativo della scuola, la funzione dei consultori pubblici e sostengono l’esistenza di una ideologia inesistente esprimendosi con termini che confermano la rappresentazione mistificatoria della campagna. Al contrario è particolarmente diffusa l’adozione nelle scuole elementari di libri di testo che contengono rappresentazioni di genere stereotipate secondo il modello culturale patriarcale, discriminatorie nei confronti delle donne (disattendendo di fatto alle raccomandazioni del MIUR contenute nelle Linee Guida Nazionali (art. 1 comma 16 L. 107/2015) Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione).
Un altro manifesto in affissione in questi giorni recita: “Aspetti un bambino? Ti senti sola? Pensi che le tue difficoltà siano troppo grandi? Ti aiutiamo noi!”. L’immagine non è quella di una donna a cui è rivolto il messaggio, ma, non a caso, di un bambino di pochi mesi assimilato a un feto. L’accusa infatti, nel caso si scelga di interrompere la gravidanza, è di omicidio, secondo gli autori, che sono i medesimi; gli scopi accusatori e le leve sensazionalistiche gli stessi. In questa campagna non vi è nulla di esplicitamente offensivo. Tuttavia l’allusione alla decisione e alla libera scelta di portare a termine la gravidanza è chiara. Il bambino è l’accusa. Si rappresentano così le donne come soggetti smarriti, incoscienti, incapaci di scegliere e di assumere responsabilità in autonomia. Una visione discriminatoria che disconosce la soggettività femminile. Delle responsabilità maschili neppure l’ombra. L’aiuto offerto prevede ovviamente un esito che ammette un’unica scelta. Nessun riconoscimento della libertà di scelta, contrariamente a quanto stabilito dalla normativa vigente in materia (L. 194/1978). Riteniamo questa comunicazione implicitamente offensiva e tesa all’inapplicazione di una legge dello Stato già estesamente violata in molte regioni italiane con l’adozione spesso pretestuosa dell’obiezione di coscienza che, di fatto, impedisce la tutela della libertà di scelta delle donne e il diritto ad avvalersene.
Non neghiamo il diritto a esprimere opinioni. Tuttavia dissentiamo sulle modalità di subdola propaganda con cui le si comunica, tese a disconoscere un diritto riconosciuto per legge, a influenzare e manipolare l’opinione pubblica ricorrendo a grossolane deformazioni e falsificazioni che di fatto trasmettono messaggi offensivi e discriminatori. La Commissione Pari Opportunità chiede al Comune di Imola di vigilare su questo tipo di comunicazioni aprendo una procedura per la rimozione tempestiva ogni volta che vengono affissi. Impegna altresì il Comune a sollecitare gli altri Comuni del Circondario a fare lo stesso.
La Commissione Pari Opportunità del Comune di Imola
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